30 giu 2015

Ville Savoye: il sogno cubista di Le Corbusier


Durante gli anni Venti Charles-Édouard Jeanneret, autonominatosi Le Corbusier in onore di un suo antenato, dal passato di apprendista orologiaio, pittore e giornalista trova finalmente la sua strada nell’architettura purista i cui concetti fondamentali sono espressi nel libro Veso Un Architettura del 1926. Sono anni in cui si assiste al passaggio del prodotto unico artiginale alla produzione in serie dell’industria come sarà espresso in modo chiaro da Benijamin.Tra il 1929 e il 1931 viene portata termine la residenza estiva commissionata da Perre Savoye dirigente di una compagnia di assicurazioni. L’edificio si trova a Poissy a nord di Parigi ed è situato sulle colline che dominano la valle della Senna; è circondato da una fitta schira di alberi ed ha un’unica via di accesso.


FORMA

Come accennato in precedenza, Le Corbusier ha un approccio alla progettazione della casa in cui applica i principi industriali delle fabbriche su scala individuale; in pratica era interessato al progresso e all'uso della tecnologia. Questo modo di pensare era linea con glic attuali insegnamenti e l'approccio di Walter Gropius e il Bauhaus. La forma di un oggetto doveva essere generato dalle sue funzioni naturali e limitazioni mentre la natura dell'oggetto è determinata da ciò che fa.
Le Corbusier credeva che la chiave per avere un'architettura risponde alla precisa macchina che è la geometria e in seguito, a quelli che lui chiamava "volumi puri". Questo approccio matematico di questi "volumi puri" dimostrano che l'architettura può essere più che lo stereotipo di forme  meccaniche. Villa Savoye impiega questa logica tenendo in considerazione ideali proporzioni geometriche così come la capacità di dirigere il visitatore nel suo design. L'edificio mette in evidenza i cinque punti di Le Corbusier  per nuova estetica essenziale: 1) I pilotis; 2) Il tetto giardino; 3) La pianta libera, 4) Le finestre a nastro; 5) La composizione libera della facciata. Una serie di schizzi sono stati generati per illustrare l'inserimento di questi punti nella Villa Savoye. Una griglia di supporti e soffitti portanti erano disposti a costituire la struttura scheletrica della Villa Savoye. I pilotis sono posti su intervalli regolari passando direttamente dal suolo al piano nobile permettendo alla casa di apparire come se galleggiasse. Hanno anche la funzione di incanalare il tragitto della vettura e accentuare l'asse principale della casa, l'ingresso. Il giardino viene spostato dal luogo abituale sulla terrazza del tetto o tetto-giardino.

Le pareti divisorie, molte o poche, fornivano la possibilità per le innumerevoli variazioni all'interno. Questo ha cambiato il ruolo della parete esterna ora più simile ad una membrana. Le pareti esterne quindi, sono state liberate della loro funzione portante, permettendo libertà di composizione ed enfatizzando ulteriormente la funzionalità dell'edificio stesso. La forma della pianta della casa deriva dall'essere calcolata sull'automobile. L'arco di cerchio minimo di sterzata di un veicolo fornisce le dimensioni della casa. L'edificio come insieme è composto da tre piani differenti: 1) il piano terra contenente aree di servizio comuni, un piccolo appartamento per gli ospiti e il garage 2) il primo piano o l'abitazione vera e propria contenente sala da pranzo, cucina, camere da letto, bagni e terrazza e infine 3) il giardino pensile che serve anche come una seconda terrazza o solarium. Le  meticolose proporzioni definite di queste masse si accentuano da un uso alternato di rivestimento e struttura portante ; una membrana di vetro teso al piano terra, imbiancato pareti con finestre a nastro al primo piano, e uno schermo permeabile sul giardino pensile.

L'ultimo aspetto riguardo la forma, che Le Corbusier aveva cambiato,è stata la soppressione del tipico concetto di  'fronte' e 'retro' e sostituirlo con una divisione di alto e basso. Simile ad una colonna, l'edificio avrebbe avuto una base, un fusto ed un capitello. Per fare questo, ha ripensato i piani, allontanato l'edificio dalla strada e cercato di avere più luce possibile. La forma curvilinea sul tetto evidenzia ancor di più questo tipo di scelta. É stato detto che tutte le cose viventi in natura hanno un forma che riflette la vita interiore e la qualità della creatura in questione, anima e materia sono una sola entità. Dopo aver esaminato le precedenti informazioni, la questione se la forma di Villa Savoye riflette la costruzione interna non può essere più contestata. Essa si manifesta attraverso il cambiamento nella materialità, nella forma geometrica e nellla disposizione gerarchica delle funzioni interne. L’involucro insieme al suo interno, che sarà ulteriormente dibattuto nel prossimo paragrafo, contribuisce ad illustrare il concetto di una nuova architettura e di una nuova estetica.

CORPO


Le Corbusier definisce la casa come "macchina da abitare" come precedentemente affermato e tale concetto viene usato per ridefinire la nuova architettura contemporanea. In linea con questo concetto,  Villa Savoye ne da un'interpretazione molto letterale visto che è modellata sullo spazio per le auto. Assumendo una visione industriale tecnologica possiamo dire che l'automobile rappresenta il cuore del corpo edilizio e che esso prende vita ogni volta che, tornando a casa, l'auto viene parcheggiata al suo interno.
Per continuare con il tema dell'architettura personificata, al momento dell'ingresso nella casa i visitatori sono accolti sia da una scala a chiocciola che da una rampa. Questi collegamenti verticali sono spesso definiti come la spina dorsale di Villa Savoye. La scala è vista come la perforazione attraverso il centro della casa ed è in netto contrasto con gli elementi aperti e il disegno orizzontale che compongo l’edificioL’elevazione plastica della scala si piega su se stessa solo per tornare da dove ha iniziato. La rampa tuttavia risulta più gradevole grazie alla sua gradualità senza contratture.

La rampa stessa è considerata sul piano fenomenologico come un qualcosa che evoca una serie di esperienze intuitive. Descritta come la promenade architecturale, la rampa e lo spazio che esso abita anima l'intero complesso costantemente, offrendo mutevoli viste dei corpi che circolano all'interno dello spazio come negoziare scale o rampe; quello di poter intravedere dall'altra tutta l'altezza dell'edificio. Quando la rampa termina su un piano, lo spazio si apre dalle opacità fino alla completa trasparenza fornendo un senso di continuità che celebra il movimento spaziale. La promenade architettonica genera uno spazio in cui i vari strati della costruzione, sia interne, nel senso dei componenti interni della casa, ed esterno, nel senso del sito esterno e vista, sono visibili e alquanto abitabili.

L’impatto visivo e l’impianto igenico-sanitario sono indizi di un progetto ecologico; qualcosa che è molto importante al giorno d’oggi ed era già presente in Villa Savoye. La disposizione assiale dell'edificio nel contesto è ulteriormente ripreso nel suo interno . La linea di accesso dalla strada corrisponde  alle lunghe file sulla superficie del terreno . Una serie di assi nord-sud costituisce il percorso verticale del visitatire all’interno nonchè l’accesso all’edificio stesso il cui ingresso principale si trova sud. La terrazza panoramica si affaccia a sud e stabilisce una connessione col cielo. Il posizionamento dell'edificio e l’orientamento rispetto al sito garantisce la continuità visiva tra l'interno e l'esterno, la natura e la geometria , consentendo ai visitatori di entrare in casa direttamente dalla propria auto e salire a piedi dal piano terra al giardino sul tetto . L' uso della finestratura a nastro al primo piano, aiuta questa indistinzione tra spazi interni ed esterni. Una sensazione di aria aperta , continua verso l'alto fino al solarium dove forme curve si combinano con piani lineari dando l'apparenza di un volume sottile e quindi di un collegamento più stretto con la natura circostante. Dettagli minimi intorno all’apertura al termine della rampa fanno in modo che diminuisca la barriera tra lo spazio e il tetto e tra la costruzione e l’ambiente.

Infine esiste una componente rituale all'interno di  Villa Savoye e per molte  case di Le Corbusier in generale. L'ingresso della casa impartisce un aura cerimoniale a partire dalla collocazione di un lavandino. Le Corbusier credeva che la casa era uno spazio sacro per rito e voleva far riflettere le persone sulle loro significative azioni quotidiane. Inserendo un lavandino all'ingresso riteneva di promuovere l'atto di pulizia, come ad un battesimo, così come i più elementari accorgimenti per la salute. In questo senso, un individuo che entra in casa fa un primo atto di pulizia di  prima di salire al piano principale.

La personificazion dell’architettura non è un concetto nuovo. Da Vitruvio fino al pensiero moderno l’edificio è stato visto come il riflesso del corpo umano con tutti le sue connessioni. Per quanto riguarda la villa, Le Corbusier ha effettivamente dimostrato come generare determinate condizioni all’interno della casa così come l’edificio stesso in rapporto col contesto. Metodo di circolazione verticale, stratificazione dei componenti, e viste incorniciate erano tutti gli elementi presi in considerazione quando concepì questa casa.

TECNICA

Si dice  Villa Savoye è stata uno dei  maggiori  progetti dell’architettura moderna. Le linee pulite hanno segnato un nuovo inizio per i seguaci di Le Corbusier, ma la fine per lui di usare forme bianche, pilotis e finestre a nastro alla stesso modo.
La casa è considerata da alcuni come l'ultima delle cosiddette ville puriste; Le Corbusier descrive il suo modello come poesia creata dalla tecnica. La tecnica Corbusier si riferisce qui è la sua fede nella continuità tra l'antico e il moderno.Attinse dal passato per influenza e capì che la sua presenza in architettura moderna significava qualcosa. La Villa Savoye è una dichiarazione di questa tecnica. Essa riflette la standardizzazione età della macchina applicata all'architettura classica con solo il cambio di strumenti. L’unità modulare Dom-ino viene estratta qui come la trasposizione simbolica della trabeazione classica; con l’uso di travi ed architravi al posto degli archi. I pilotis sono visti come colonne che si estendono per sostenere l'architrave delle lastre di cemento orizzontali. La parte superiore dell'edificio classica, la trabeazione, può essere definito attraverso le finestre a nastro estesi nella Villa che assomigliano a metope vuote. Infine, la chiusura di vetro sembra riferirsi alla cella che è ora alloggiata entro l'architrave. Questa analogia al tempio estende anche alla comprensione del sito e tipo di originale e riproducibile della casa.

Savoye è una casa cubista; è fisicamente disimpegnato da ma in modo ottimale osservando il terreno agricolo di periferia. Il posizionamento della Villa Savoye sul suo sito in Poissy non è stata casuale, ma strategica. Il paesaggio comincia a scoprire la casa come l'individuo fa salire il vialetto curvo. Il sito è stato quello di apparire intatta; come se la villa in sé era semplicemente passando o galleggianti sopra di esso. Questo effetto è stato ottenuto attraverso quello che potrebbe essere definito come falsa tecnologia tuttavia, è servita allo scopo. Il piano terra è arretrato per il passaggio di un veicolo al di sotto però, la conseguente ombra che è immerso più profonda a causa del colore della vernice scura, in netto contrasto con la scatola bianca incontaminata sopra, fornisce l'illusione di un edificio galleggiante di lasciare indenne il paesaggio agreste.

Le Corbusier desiderava ricreare la presenza plastica e l'eloquenza della Grecia attraverso il simbolismo e la geometria. Ha visto il tempio classico come oggetto standard internazionale e voleva che la Villa Savoye di essere considerato il massimo raffinata dimora omogenea per l'elite. Per raggiungere questo concetto ripetitivo, nel 1929 Corbusier proposto che venti cloni di questa Villa essere fatte chiamando la zona Le Vingtième; "XX".Ognuna di queste case avrebbe loro curve strada individuale guidare l'individuo fino all'ingresso della Villa. Le Corbusier anche sostenuto l'applicazione universale di questo tipo puro e ha continuato ad utilizzare gli elementi della casa in tutta progetti futuri. La Maison Loucheur in un piccolo corpo di guardia in Poissy possedeva alcuni dei temi standardizzati che la Villa Savoye in mostra; conteneva finestre a nastro ed è apparso anche come una scatola bianca galleggiante.

Questa nozione di ripetibilità si presta alla discussione di autenticità in quanto Walter Benjamin si riferisce come 'aura'. L’architettura può essere vista come un oggetto che può essere riprodotto interamente o come singoli componenti. Se i cloni di Villa Savoye fossero stati realizzati a Le Vingtième, avrebbero possedere la stessa “aura” come l'originale? Tecnica e tecnologia consentono di queste nozioni per essere interrogati. La riproducibilità e l'oggetto si basa sia la tecnica usata per generare l'originale così come la tecnologia disponibile per replicare. In questo caso particolare, Le Corbusier ha richiamato al passato per l'influenza e, di conseguenza, ha prodotto un ibrido tra architettura moderna e antica formando una nuova architettura. Questo si riflette in Villa Savoye.

SPAZIO


Lo spazio può essere visto come fondamentale per l'esperienza umana, pertanto, è realistico supporre che gran parte del nostro ambiente spaziale, che si tratti di un paesaggio, città, casa, stanza, è stato progettato per le persone con le persone bene in mente. Percepiamo spazi attraverso i nostri singoli sensi; forma, materialità, luce e colore sono tutti gli elementi che hanno il potere di stimolare il singolo particolare ed aiutarci nella valutazione dello spazio. In definitiva, lo spazio è una relazione tra il piano cognitivo e sensoriale; l'individuo si pone tra oggetti inanimati e organismi viventi che variano i segnali acustici e attraverso la realtà  dell’ambiente.

In relazione alla architettura, lo spazio può informare l'uso che si traduce talvolta in forma globale; le azioni previste, che si svolgono all'interno. La funzione di uno spazio e le sue caratteristiche spaziali può influenzare l'utente e fornire un contenitore per una un'azione o interazione specifica che si terrà. Nel caso della Villa Savoye, Le Corbusier ha scelto di sfocare il confine tra spazi interni ed esterni, mentre la determinazione delle aree pubbliche e private.
Il guscio spaziale dell'edificio comunica una storia tra l'interno e l'esterno dello spazio attraverso il numero di aperture e uso di materiali.

Nello spazio residenziale, le aree sono divisi in zone in base alla loro funzione così come il bisogno di privacy. La 'dimensione pubblica' o 'privata' di uno spazio influenza direttamente e il comportamento di un individuo. Uno spazio più privato, ad esempio, come il bagno padronale nella Villa Savoye, sarebbe destinato secondo la prospettiva  umana a fornire la familiarità, sicurezza, intimità e riflessione. I bagni, così come le camere, sono organizzati in un labirinto protettivo della privacy che si insinua nella parte più interna della casa. Le porte e le pareti che portano a queste aree sono dipinte con colori scuri così da distogliere l’attenzione e fornire un contrasto alla parete di finestre che conduce al giardino pensile. All'interno del bagno padronale è posto un lucernario  mentre una chaise lounge di piastrelle colma il confine tra interno ed esterno nello spazio intimo. La superficie ondulata del chaise lounge  intende imitare il paesaggio mentre il lucernario fornisce un collegamento diretto con l'esterno permettendo alla luce naturale e cielo di riformulare il rapporto con lo spazio all'aperto.

Uno spazio più pubblico è stato progettato con l’idea di creare una zona priva di controllo sociale; è uno spazio per il movimento e le attività quotidiane. In termini di uno spazio più aperto all'interno della Villa, il giardino pensile situato al livello principale fornisce un’ampia zonache collega il giardino sul tetto al resto della casa. Libertà di movimento, vista invitante, e la permeabilità di questo spazio presenta un ambiente accogliente che guida l'individuo verso di esso e ne promuove l'interazione. L’arredamento in questo spazio è fatto con intenzione di guidare  l'individuo a zone che l'architetto ha pensato come adatte alle varie attività.  In questo caso particolare, i tavoli  sono disposti in modo più appropriato all'altezza per la seduta nel giardino pensile che segnala al partecipante di sedere in questa particolare posizione in cui viene evidenziata una vista selezionata.
Passeggiare attraverso uno spazio, permette all'individuo di sperimentare la dimensione del tempo; una sequenza spaziale può essere subordinata alla velocità di un utente. Materialità può anche essere definito da tempo come la consistenza e colore può variare nel tempo così come le tendenze e materiali disponibili. Si può dire però che le variazioni spaziali basate sul tempo.
Prendere la passeggiata architettonica, ad esempio; la rampa sale dolcemente fino al livello principale la promozione di un lento, graduale salita per sperimentare la parete di vetro che espone il giardino pensile e di conseguenza, il collegamento degli spazi interni della Villa con l'esterno. Si nobilita lo spazio ed evoca l'età della macchina introducendo una rampa stradale nel disegno interno domestico sul suo periodo di tempo corrente.

Il concetto di spazio è ampio, ma può essere determinato sia come prodotto (costruito) o naturale (ambiente). La percezione di un individuo di spazio, indipendentemente dal metodo di generazione , è una esperienza o l'interpretazione in base a stimoli sensoriali. È un intenso rapporto tra l'utente e l'edificio attraverso l'atto di movimento. Una ripida scala o corridoio stretto produce una diversa interpretazione di uno spazio rispetto a una terrazza all'aperto o  a una passeggiata architettonica. Lo spazio è basato sulla singola esperienza umana.




17 apr 2013

Palais Lumiere: un Costoso Vaso di Fiori

«Avevo pensato a quelle forme per un pezzo di mobilio, poi l'idea ha cominciato
a prendere consistenza.»
P. Cardin

9 mar 2013

ANIMA: la prima opera di Bernard Tschumi in Italia


Compresa in una zona a margine del tessuto urbano fra il mare e le collinea Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno, ANIMA, la prima opera dell’architetto Bernard Tschumi in Italia, ospiterà le più varie espressioni della cultura del territorio, a partire da quelle artistiche, gastronomiche e ambientali, attraverso spazi flessibili racchiusi da un sistema di facciate che costituiscono il lessico di interazione e semplicità.
 Il progetto, presentato lo scorso 20 febbraio 2013 a Grottammare, è commissionato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e dal Comune di Grottammare e nasce con l’obiettivo di favorire l’identificazione del territorio e connotare la sua immagine attraverso la realizzazione di un polo pubblico di attrazione culturale, un generatore di idee per il territorio, inteso sia nella sua dimensione fisica sia nel suo potenziale creativo.

L’acronimo ANIMA, nasce da una consultazione pubblica: A come Arte, N comeNatura, I come Idee, M come Musica, A come Azione. Sono le “cinque anime” del progetto, che l’architetto ha interpretato come un’identità in divenire. L’opera sarà un catalizzatore di interessi, interazioni, sinergie, voluto da una committenza che guarda all’architettura come a un processo piuttosto che a un prodotto conclusoal fine di sostenere e incrementare lo sviluppo economico e il turismo attraverso il processo di identificazione e conoscenza del territorio.
 L’obiettivo è promuovere l’incontro, l’interazione, lo scambio attraverso attività diffuse: spettacoli, mostre, conferenze, laboratori che raccontino il territorio attraverso le sue tradizioni e le sue prospettive per il futuro. Polo di eccellenza della creatività e delle risorse del luogo, ANIMA si apre verso il territorio paesaggistico e umano, creativo e turistico, dei saperi e delle sperimentazioni.
 La superficie sulla quale l’opera si colloca coincide con quella del piccolo centro medievale di Grottammare, poco più di 7.000 metri quadrati. Il progetto si accosta al cuore storico della cittadina non solo nelle dimensioni: esso richiama, sia all’esterno sia all’interno, il concetto di urbs. All’esterno l’edificio si presenta come un corpo compatto, un quadrato perfetto che, se per certi versi allude a un’idea di chiusura e di protezione, si infrange e dimostra da subito un’elevata permeabilità. Una riflessione sul tema della facciata è, infatti, alla base della ricerca che ha portato Tschumi a una soluzione informale per le grandi pareti verticali che contornano l’edificio e che trova la sua più forte espressione in corrispondenza della parete sud, attraverso la quale si accede al complesso. Visto dall’esterno il volume si mostra come un oggetto ben riconoscibile che esiste in funzione delle risorse presenti nelle vicinanze e che si identifica in una struttura permeabile e ricettiva.

Bernard Tschumi ha affermato: “È possibile progettare una facciata senza fare ricorso a una composizione formale? È possibile fare in modo che non sia né astratta né figurativa ma, per così dire, senza forma? La motivazione che ci ha spinto a sollevare queste domande è di natura sia economica sia culturale: in un’epoca di crisi economica, indulgere in geometrie formali prodotte da complesse curve volumetriche non ci è sembrata una scelta responsabile. L’epoca del cosiddetto ‘iconismo’ sembra terminata, insieme alle figure scultoree arbitrarie del passato recente, spesso prodotte senza considerazione per il contesto, il contenuto e il budget”.

L’interno è uno spazio scomposto, in parte interno e in parte esterno la cui complessità è determinata dalla rotazione di un grande volume parallelepipedo che occupa l’area centrale dell’edificio e che contiene la sala principale, con 1.500 posti a sedere, flessibile e configurabile in base alle esigenze di capienza. La rotazione di questo volume determina un sistema di quattro ampi cortili, verso ciascuno dei quali la sala principale ha la possibilità di aprirsi definendo un sistema fluido e dinamico di percorsi fisici e visivi. Un articolato sistema di rampe permette di muoversi all’interno di questo ambiente eterogeneo e mobile, osservandolo da prospettive e altezze continuamente variabili. Adiacenti alla sala principale e ad essi collegati attraverso una molteplicità di percorsi in quota sono disposti i laboratori, gli uffici, il caffè-ristorante, gli spazi accessori.

rendering frontale




5 mar 2013

Fire Station a Santo Tirso, Portogallo di Alvaro Siza

PLANIMETRIA
Inaugurata lo scorso 13 gennaio 2013, la caserma del corpo volontario dei Vigili del Fuoco di Santo Tirso, in Portogallo, progettata da Álvaro Siza Vieira, si sviluppa articolandosi in tre volumi interconnessi, a partire dal blocco angolare di accesso. Parte in laterizio a vista e parte in cemento a vista, la più recente architettura di Siza è caratterizzata da semplicità delle forme nette e lineari.
La nuova Fire Station contiene i servizi di supporto alla caserma dei Vigili del Fuoco. Organizzato su tre livelli a partire dalla hall di ingresso, l’edificio contiene uffici, sale riunioni e servizi. Accessi indipendenti dalle strade circostanti il complesso assicurano una circolazione funzionale e separata al fine di ottimizzare i percorsi a seconda delle funzioni contenute nell’edificio, che risultano totalmente collegate dal percorso esterno attraverso la grande corte.Accanto alla Operational Parade, accessibile direttamente dal parcheggio, gli alloggi e le aule dedicate alla formazione sono collocate nel blocco in laterizio a vista, collegato al garage in cemento grezzo attraverso un interessante snodo volumetrico che esalta l’accostamento dei materiali.Il progetto degli spazi esterni prevede aree pavimentate, funzionali al passaggio di mezzi pesanti, e aree verdi. Le zone pavimentate presentano texture differenziate tra l’accesso al garage, gli spazi accessibili dalle automobili e l’area antistante il bar, alternando fasce asfaltate e parti pavimentate in pietra.Gli spazi verdi, che mantengono la vegetazione esistente, si articolano a partire dal blocco destinato a uffici e alloggi, fino a collegare la training tower circolare.


21 feb 2013

Una scheggia nel cielo di Londra


Il primo giorno di questo mese è stato finalmente aperta al pubblico la galleria panoramica The View di The Shard (la scheggia), progettato da Renzo Piano, anche se l'inaugurazione vera e propria dell'edificio era già avvenuta  nel luglio dell'anno scorso. Con i suoi 310 metri (1000 piedi come preferiscono dire gli inglesi) si configura come l'edificio più alto d'europa, anche se rispetto ai nuovi standard mondiali e poco più un "nano" vicino ai 492 metri del Shangai world financial center ed ai 828 metri del Burj Khalifa. L'edificio tiene fede al suo nome infatti sembra proprio uno spuntone di roccia, questo grazie all'uso in maniera elegante di acciaio (in gran parte riciclato) e vetro che vanno rastremandosi mentre si sale verso l'alto. La costruzione del grattacielo è stata travagliata sia per la recente crisi finanziaria sia per le polemiche dovute al fatto che con la sua altezza avrebbe oscurato altri simboli della città come la cattedrale di St. Paul. Altre critiche sono pervenute anche dal principe Carlo che accusava il progetto di rovinare la cara vecchia immagine di Londra con le sue villette a schiera, a ciò ribatteva lo stesso Renzo Piano dicendo il nuovo edificio era più ecologico perché insisteva su una parte abbandonata della città e non sottraendo altro verde al territorio.

1 dic 2012

Le domande dello studente a Bruno Zevi

Nel Marzo del 1995 uno studente della Facoltà di Architettura di Napoli si è presentato a Bruno Zevi per chiedergli alcuni chiarimenti sui problemi dell'architettura. Nè è nato un intenso carteggio, durato alcuni mesi, sotto forma di domande e risposte...


Credere, obbedire, combattere: tre ideali per l'architettura? Credere in cosa? Obbedire a chi, a che cosa? Combattere con chi, con che cosa?
L'architettura rifiuta qualsiasi coercizione e, tanto più, la triade mussoliniana.Obbedire si può, se si ha l'animo di un subalterno. Combattere si deve, qualora l'alternativa sia la morte. Ma credere? Questo è un atto di libertà, spontaneo, non può essere obbligatorio. Quindi, tanto per cominciare, architettiamo senza obbedire a niente e a nessuno, combattendo non per un'astratta ideologia ma per la supremazia dell'individuo e senza credere né nella materia né nello spirito, né in Dio né nel diavolo, propugnando il disordine piuttosto che l'ordine dottrinario imposto.

Cosa intende Lei oggi per ordine dottrinario imposto?
Il classicismo fascista o cattolico o borghese o patriottardo o monumentalista, di qualsiasi genere, comunque elaborato.

Lei una volta mi ha detto "Ricordi che nessun architetto, nella preistoria e nella storia è mai stato troppo coraggioso". Cosa intende lei per "troppo coraggioso"?
Sono convinto che tutti possono essere migliori di quello che sono; è vero per il passato come per l'oggi e per il domani. Nell'intera storia dell'architettura, dalla preistoria a Frank Gehry, troviamo architetti che temono di essere troppo trasgressivi,di agire contro il senso comune e l'opinione pubblica, di non rispettare il codice vigente e quindi di non essere capiti e perdere clienti. Quasi tutti perciò si fermano uno o due gradini più in basso di quanto potrebbero o dovrebbero, hanno paura di sbagliare e abdicano. Non c'è un solo caso né Arnolfo di Cambio, né Borromini, né Gaudì, né Wright, di cui si possa dire: esagera, è troppo coraggioso. Le due opere più ardite secondo me, sono Palazzo Vecchio a Firenze e Fallingwater, la casa sulla cascata. Sono pronto a dimostrare che non lo sono abbastanza.

Perché Palazzo Vecchio e Fallingwater sono, secondo Lei, le opere più ardite? E perché non lo sono abbastanza? Quale gradino i due architetti non hanno saputo superare?
Sono ardite, per la torre incombente spostata a destra e per gli agganci alla roccia e gli aggetti spericolati sulla cascata. Arnolfo di Cambio è forse il più grande architetto italiano (non a caso Santa Croce è dell'ordine dei mendicanti), e Wright lo è a livello mondiale. I saloni di Palazzo Vecchio e il soggiorno di Fallingwater potrebbero però essere più coraggiosi, più inventivi spazialmente.


Secondo Lei cosa bisogna fare per essere considerati "troppo coraggiosi"? Rifarsi agli ideali sopra citati?
Per essere coraggiosi, lasciamo stare il troppo, non bisogna rifarsi a nessun ideale, anzi urge combattere ideali ed ideologie. L'unico ideale da coltivare è quello del coraggio; per un attimo, lo ha capito persino Don Abbondio.

Lei ritiene che l'unico ideale da coltivare è il coraggio, chi sono allora, per Lei, i "Don Abbondio dell'architettura"?
Nella storia dell'architettura i "Don Abbondio" fanno massa costituendo la maggioranza schiacciante. Si chiamano setta bramantesca, setta sangallesca, setta berniniana, setta juvarriana, setta piacentiniana e via dicendo. Purtroppo sono molto peggio di Don Abbondio, perché vogliono il potere.

La professione di architetto oggi è in profonda crisi, sono venuti meno gli ideali citati?
Alibi. La professione in crisi è un mito comodo quanto inconsistente. Siamo costantemente in crisi. Ho appena pubblicato un saggio intitolato Architettura della modernità. Cos'è la modernità? L'ho riportato è considerare la crisi un valore. Chi non sta in crisi è un deficiente.

 I troppo coraggiosi, secondo Lei, non vanno mai in crisi?
Non vanno mai perché ci sono. Borromini non è andato in crisi si è semplicemente suicidato.

Quali consigli darebbe a noi giovani studenti, circa la nostra attuale esperienza di apprendimento e la futura vita professionale?
Consiglio di abbandonare le facoltà di architettura, onde diventare architetti senza dover estirpare da sé tutte le idiozie imparate a scuola. Wright, Le Corbusier, Scarpa, Nizzoli non erano laureati.

Lei ci consiglia di abbandonare le facoltà di architettura. Ma Wright, Le Corbusier, Scarpa hanno avuto dei grandi architetti come maestri. Noi a chi potremmo riferirci?
Wright ha avuto Sullivan perché, invece di perder tempo a scuola, lo ha cercato. Le Corbusier ha avuto come maestri Fidia, i castelli medievali, Perret, Behrens, perché li ha cercati, invece di evadere nell'università. Quanto a Scarpa, non ha avuto proprio alcun maestro; si è educato sui testi di De Stijil e di Wright. Quanto a voi potete riferirvi a chi volete. Io propongo Gehry, Einsenman e Behnisch.

Perché Lei ci propone Gehry, Einsenman, Behnisch e non Utzon, Holl e Fehn?
Per il semplice motivo che sono sulla breccia infuocata, mentre gli altri sono in pensione. Gehry, Einsenman e Behnisch stanno sulle barricate, lottano giorno e notte contro l'inerzia dell'architettura, in qualsiasi condizione strappano un pretesto per conquistare un millimetro in più di libertà. Se invece di tre fossero trenta, avremmo una fronte stagione architettonica.

Lei crede che un'opera di Gehry, Einsenman e Behnisch sia accettata in un contesto italiano? Perché la nostra nazione rifiuta questo tipo di architettura?
Perfettamente accettata. Lo ha capito il Vicariato di Roma che ha indetto un concorso ad inviti per una chiesa da inaugurare nel 2000. Fra i pochi invitati: Gehry, Einsenman, Behnisch. Se la nostra nazione rifiuta, combattiamola perché significa che è ancora fascista e sciovinista.

Il settimo principio o invariante da Lei desunto per la decodificazione dell'architettura moderna: continuità tra edificio, città e territorio; può ritenersi il punto di partenza per la codificazione di "antiregole" da applicare a progetti realizzati o da realizzarsi a scala urbana?
Non credo proprio, anche perché non credo all'architettura né all'urbanistica ma solo all'urbatettura.  La  settima invariante o ha come radice le sei precedenti, o diventa generica e persino un po' insulsa.

Quante persone amano la musica, la pittura, la scultura, ignorando del tutto il "contenitore" di queste arti cioè l'architettura, è un atto di ignoranza o di negligenza?
Anzitutto contesto che l'architettura sia il "contenitore" delle altre arti; preconcetto accademico. É più facile visitare una mostra di pittura e scultura, leggere un romanzo, seguire un concerto che vedere l'architettura. La conoscenza, prima ancora  della comprensione dell'architettura, esige un enorme fatica persino per un architetto. É un mezzo miracolo che tanti profani si interessino di questo campo.

La sperimentazione dello spazio portata all'estremo, è, secondo Lei un altro credere nell'architettura?
Non capisco cosa significa portare all'estremo. In ogni modo, sono convinto che non si porta mai troppo avanti la sperimentazione dello spazio.

Secondo Lei un architetto deve avere più di una personalità? Se sì quante? Se no, allora perché una sola?
5.782601 personalità al minimo. Consigliabile il raddoppio. Da evitare il semplice doppio gioco così diffuso.

Cosa intende Lei per linguaggio architettonico e cosa per tendenza architettonica?
Intendo il linguaggio musicale, letterario, pittorico, plastico ecc. applicato agli spazi vissuti. L'applicazione è passibile di varie tendenze.

La cultura meridionale a differenza di quella centro-settentrionale non vede di buon occhio il rapporto committente-architetto; per loro si può anche fare a meno della nostra figura. Secondo Lei è un atto di ignoranza congenita?
No, può essere un segno di cultura: presuppone l'architettura senza architetti che ha generato innumerevoli capolavori. La demitizzazione dell'architetto demiurgo è sempre utile.Abbasso gli architetti! Viva l'architettura, che non può essere prodotta creativamente da anime e cervelli appiattiti come quelli dei laureati nelle nostre università.

Secondo Lei quale architetto italiano ha saputo tradurre meglio la lezione wrightiana? In particolare con quale opera?
Leonardo Ricci e Luigi Pellegrin. Si osservi la casa che Ricci ha costruito per sé nei pressi di Firenze. É forse il suo primo lavoro compiuto e parla la lingua wrightiana nell'impianto generale, nelle modanature e nell'impatto materico. Da questa radice wrightiana sgorgano l'espressionismo e il neoespressionismo di Ricci nelle opere successive; un processo riduttivo anche se gestito con sapienza e vigore, da Sorgane al palazzo di giustizia di Savona.Quanto a Luigi Pellegrin cito la villa costruita per sé a Roma: spazi fluenti, volumi ondulati e piegati per involucrarli, maestria nelle luci. Un capolavoro wrightiano isolato.

Che cosa sono per Lei forma  funzione e struttura in architettura e come sono legate tra loro?
Nulla e tutto. La forma deriva dalla funzione e dalla struttura, ma la struttura dipende dalla forma della funzione e la funzione dalla forma strutturata. Nessun legame perché sono la  stessa cosa. Ogni distinzione è cervellotica, sofisticata, degna di cattedratici.

Secondo Lei un architetto come deve creare il legame luogo-architettura?
Non pensandoci. Ci ha forse pensato Le Corbusier ponendo in diagonale Ville Savoye? Ci ha pensato Wright costruendo sulla cascata di Bear Run? O Mies ne l padiglione di Barcellona? Non si deve creare alcun legame programmato luogo-architettura, né supporre che l'architettura sgorghi da un luogo. N el caso della Casa sulla Cascata, è il luogo che nasce dall'architettura.

Per Lei cosa determina "l'atmosfera" in architettura?
Indubbio la luce nello spazio. Anche e soprattutto al buio.

Cos'è che determina il carattere di un edificio? La pianta, la facciata, lo spazio architettonico: tutto oppure una parte più delle altre?
Lo spazio dinamico e vissuto, che suggerisce il suo involucro e perciò piante, sezioni e facciate.

Secondo Lei un architetto per poter essere considerato coraggioso deve progettare sempre costruzioni che siano definite un "esempio"?
Esattamente il contrario. Sono "esempi" solamente gli edifici tipologici, insistenti su schemi tradizionali. Gli architetti creativi sono indifferenti al valore didattico delle loro opere. Confidano che gli parleranno spontaneamente, illuminando gli spiriti sprofondati nelle tenebre.

Il genio è considerato antistorico e allora perché rispettare le sette varianti del codice anticlassico per progettare buone architetture?
La domanda è insensata. Comincia con l'assioma il genio è considerato antistorico, con cui si può replicare in due modi: 1) con un da chi? Intendo da quale fesso? 2) con un pernacchio. La seconda parte è totalmente sconnessa dalla prima, per cui va eliminata. Le sette invarianti servono a progettare buone architetture, ecco perché vanno rispettate.

Bisogna credere nell'ornamento in architettura?
No, non bisogna. L'ornamento è organico all'architettura, come voleva Louis Sullivan? Allora va bene. In tutti gli altri casi ha funzione correttiva e quindi va eliminato.

Quando siamo vicini alla natura bisogna seguire la sua linea. Quando invece siamo vicini all'architettura?
Direi, celiando, che quando siamo vicini alla natura, bisogna seguire la linea dell'architettura. E quando siamo in un paesaggio tutto costruito, profetizzato da Antonio Sant'Elia, quando non c'è un filo d'erba, dobbiamo seguire la linea della natura selvaggia.

Secondo Lei questa società multirazziale non dovrebbe offrire la possibilità di un linguaggio architettonico multiculturale?
Mi accontento di un linguaggio colto. Il multiculturale viene da sé.

L'architettura organica e l'urbanistica tradizionale pur essendo in aperto contrasto possono presentare punti in comune? Se si quali?
Nessuno. L'urbanistica organica è bifronte Broadacre City o "The Illinois", il grattacielo alto un miglio. L'urbanistica tradizionale è un pasticcio carico di compromessi.

Si ritiene che ogni opera di architettura nasca da un attento studio delle condizioni ambientali, autoctone, peculiari; crede che ogni manufatto comunichi anche altro che non sia lo specifico architettonico? Ovvero ogni architettura è un contenitore semantico?
Chi lo ritiene? Me lo dica e chiamiamo la neuro.San Miniato al Monte nasce dalle condizioni ambientali di Firenze? No, è uno splendido grido dissonante. E Fallingwater? Nasce forse da uno studio della sterpaglia di Bear Run?

Grazie a Lei il pensiero di Wright è stato illustrato per la prima volta in modo approfondito anche in Italia. Quanto vale secondo Lei il rapporto architetto e storico critico dell'architettura?
Vale tutto e credo di averlo dimostrato in Architettura e Storiografia. Nelle civiltà produttive di valori, gli atti creativi e quelli critici coincidono.

Vale più la fantasia o la tecnica in architettura?
La fantasia tecnologica.

In architettura sono state progettate tantissime macrostrutture, ma poche ne sono state realizzate, secondo Lei non siamo ancora pronti per questo genere di opere? Oppure qual è il vero problema che ne impedisce la realizzazione?
Il grattacielo alto un miglio di Wright "The Illinois" per Chicago, costituisce il punto di riferimento. Dobbiamo costruirlo perché è un'opera a dimensione conforme. Dobbiamo vincere la paura del nuovo.

Lei afferma che il grattacielo alto un miglio di Wright, è il punto di riferimento per quanto riguarda l'architettura delle macrostrutture, ma cosa intende Lei per "opera a dimensione conforme"?
Intendo esattamente quello che intendeva Le Corbusier. La dimensione conforme attiene ai servizi comunitari.

prospetti

Secondo Lei per un nostro miglire futuro di architetti quali sono, oltre le sette invarianti "le certezze" in cui credere per realizzare buoni progetti?
Nessuna, sia lode a Dio. Si celebra l'incertezza, per fortuna. Le sette invarianti codificano l'incertezza contro le fasulle certezze classiciste.

Secondo Lei l'architettura deve valere di più per come va progettata o per come dovrà essere usata?
Come progettata per l'uso.

"Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite." Vorrei una sua opinione su questa frase di Italo Calvino. Riferendola poi a qualche città in particolare.
Opinione giusta e azzeccata. Vale per Los Angeles e Shangai, Stoccolma e Noto, Pienza e Ferrara. Vale a scala territoriale e a quella di arredo urbano.

Lei è per l'architettura della libertà, rischiosa, anti-idolatrica, creativa. Ciò è forse sempre possibile attuarlo nei progetti di edifici privati; ma una comune regola compositiva non è forse ammissibile e necessaria per edifici che ospitano funzioni pubbliche quali ospedali, chiese e scuole? Non è possibile che un bambino dell'asilo, nel quartiere Luginsland a Stoccarda di Behnisch,  possa rimanere scioccato dalla visione di porte che non sono a squadro e di un edificio che sembra stia andando in pezzi?
No, nessuna regola compositiva, in nessun caso privato o pubblico che sia. Del resto, le funzioni pubbliche (scuole chiese ospedali) sono molto più differenziate di quelle private (in genere residenziali); pertanto tali devono apparire. Quanto al bambino tra scemo e demente che può essere traumatizzato da un muro storto o da una rovina, vogliamo scherzare? E quando saprà che la terra è tonda e non piatta, non avrà un colpo apoplettico?


In un progetto, Lei crede che luce, spazio e forma debbono essere proporzionati tra loro? Oppure l'una può prevalere sull'altra?
Lo spazio deve prevalere. La forma o è quella dello spazio o è fuori dall'architettura. La luce non è un problema perché è congeniale allo spazio.

Lei crede che "semplicità", "precisione", "organicità" e "ordine" possono ritenersi quattro virtù dell'architettura?
Una sola è virtù le altre sono preconcetti negativi: semplicità no, specie adesso, tempo di complessità; precisione meno ancora, una caverna è splendida proprio perché totalmente imprecisa; l'ordine per carità! É sempre quello del potere. Resta dunque una sola virtù, l'organicità, che ammette il labirintico, l'impreciso e il disordinato.

In questo momento architettonico, sono sempre validi i concetti della triade vitruviana?
La triade vitruviana non è mai stata valida, figuriamoci adesso! Buttiamola nell'immondizia e non pensiamoci più!

Lei ritiene che un edificio simmetrico è frutto di pigrizia e antisocialità "basta disegnare la metà e rispecchiarla" Ma anche il maestro di Taliesin in alcune sue opere, in particolare quelle pubbliche, predilige una certa simmetria. Questa scelta non è dovuta forse al fatto che il pubblico abbia una migliore fruibilità in un edificio del genere?
"Una certa simmetria" ma non la simmetria. E se qualche volta, il maestro di Taliesin crea un edificio simmetrico, per quale motivo dobbiamo soffermarci su di esso e non su gli altri? Wright, quando andava in un WC, forse faceva cose poco odorose. Ma sono queste cose che lo qualificano o sono la Casa sulla Cascata, il Johnson Building a Racine, Taliesin West e il Guggenheim? Nessuno è un genio per il suo servo, ma la colpa è del servo, non del genio. Un edificio simmetrico è il meno fruibile per una ragione evidente: non tiene conto dei circuiti, della dinamica umana.

Lei crede che certi architetti stiano distogliendo il proprio interesse dall'intensità progettuale riorientandolo verso la gratificazione più immediata del guadagno?
Pietro Fenoglio è stato il più grande (forse il solo) autentico architetto italiano dell'Art Noveau. Dopo aver costruito un capolavoro, ha abbandonato la professione per dedicarsi all'industria. Il guadagno non c'entra, era una vocazione.

Quale gruppo di collaboratori bisogna avere per realizzare un progetto prezioso? Che personaggio si deve essere per riuscire ad emergere sugli altri?
Si può lavorare anche in pieno isolamento, come, ad esempio Reima Pietilä, che tuttavia aveva a fianco la moglie. Quanto al personaggio che emerge si consiglia di diventare centrattacco della squadra nazionale vincente e subito dopo, di dedicarsi all'architettura.

Quali delle utopie del passato che Lei conosce, si stanno avverando oggi e quali non avranno mai esito positivo?
L'organismo urbano medievale, in vari modi, si avvera. Non avrà mai esito positivo la città ideale del Rinascimento.

Come può architetto contemporaneo, non sentirsi struggere di fronte ad una urbanizzazione sempre più selvaggia ed incosciente, di cui peraltro il più delle volte viene comunque considerato il maggiore responsabile?
Semplice. Bisogna imparare a sentirsi struggere e ad amare l'urbanizzazione selvaggia (cfr. Frank O. Gehry). La sfida, superfluo ripeterlo, sta nel trovare nella crisi un valore.

La figura dell'architetto oggi sembra una sorta di regista, controllato e condizionato da consulenti e specialisti di ogni singolo settore, col fine di mediare i differenti interessi tecnici, giuridici, economici e funzionali di un progetto. In tal modo non crede che venga meno il compito prioritario dell'essere creativo?
No, non credo. Si tratta di essere creativi anche nei rapporti umani e di lavoro Il compito dell'architetto non è più complesso di quello del regista cinematografico.

Quanto valgono le conoscenze umanistiche nel campo dell'architettura? Vorrei che Lei mi facesse un elenco di testi che ritiene fondamentali per la formazione di un buon architetto.
Valgono solo le conoscenze umanistiche che comprendoni in sé anche quelle sociali e tecniche. Tre testi non di più: 1) Geoffrey Scott, L'architettura dell'Umanesimo; 2) Edward Frank, Pensiero organico e architettura wrightiana; 3)Heirich Wölfflin, Rinascimento e Barocco.

Lei continua a ripeterci di abbandonare le Facoltà di Architettura, ma lo sa che per essere iscritti all'albo degli architetti, quindi poter firmare un progetto, bisogna superare l'esame di stato al quale si può accedere soltanto se si è conseguita una laurea? Quindi che posizione dobbiamo assumere d di fronte a questo suo consiglio?
La posizione di accettarlo, pagandone i costi. Non si sono laureati e quindi non appartenevano agli albi professionali, Wright, Le Corbusier, Nizzoli, Scarpa e mi pare che abbiano costruito un po' di più della maggioranza di laureati iscritti agli albi. Mi sbaglio? Comunque, cinque anni sprecati nella Facoltà di Architettura sono troppi; basterebbero cinque mesi.

Trent'anni nelle Facoltà di Architettura: soddisfazioni e delusioni. Cos'è che avrebbe voluto fare per l'università e che non è riuscito a realizzare?
Avrei voluto fare un Bauhaus storicizzato, un laboratorio in cui convergessero storia, progettazione, critica operativa, scienza e tecnica delle costruzioni, urbanistica e quant'altro. Esattamente il contrario di quanto è stato fatto con i dipartimenti che hanno consacrato la separazione delle discipline, rendendo impossibile l'insegnamento organico dell'architettura.

Lei crede che il procedimento tipico dell'architettura è un procedimento induttivo dal particolare al generale o viceversa?
Giammai, non sono pazzo. Popper ha dimostrato la vacuità dei procedimenti induttivi.

Lei sin da giovane sarebbe voluto diventare "il De Sanctis dell'architettura". Per una realizzazione personale crede di esserci riuscito o di aver fallito in qualche cosa?
Non credo niente. É un fatto che "il De Sanctis dell'architettura" è nato è cresciuto. Si intitola Controstoria dell'architettura in Italia, consta di 900 pagine di cui 500 illustrate, 9 tascabili Newton, lire 9.000 o poco più in tutto invece che 65.000. Per ora ho vinto io per mancanza di concorrenti o rivali.

Dei vari periodi di urbanizzazione quale ritiene Lei quello di migliore risoluzione? Ed attribuito in particolare a quale città?
Londra, dalle città giardino dell'inizio del secolo alle New Towns.

Secondo Lei un architetto deve essere più un uomo di pensiero, oppure, un professionista attivo, indaffarato che gestisce dimensioni complesse, frutto in gran parte di un lavoro collettivo?
Dilemma inesistente, cervellotico: professionista attivo che non pensa, e pensatore che probabilmente non fa l'architetto. Poiché poi l'indaffarato gestisce il frutto di un lavoro collettivo, la confusione è al culmine.

Secondo Lei è necessario per l'architettura, competere con i mass-media?
Renato De Fusco scrisse un libro sull'architettura come mass medium, che considero ancora apprezzabile. Poi dell'argomento no si parlò più. La domanda è equivoca, cosa significa competere con i mass-media? Voglia adoperare l'architettura per vendere la Coca-Cola? Ogni volta che sono, in qualche modo, implicato con la televisione, rievoco l'atteggiamento di Lewis Mumford, che rifiutò sempre di apparire nei programmi TV, sostenendo che a lui spettava di elaborare le idee e agli altri diffonderle. Per converso, Wright amava la pubblicità in televisione.

Secondo Lei quali poterebbero essere le forme ed i contenuti di una nuova architettura?
I contenuti: quelli di una nuova socialità. Le forme: quelle determinate dalle sette invarianti.

Nonostante il dissesto finanziario che continua a permanere nella vita amministrativa del Comune di Napoli, la città ha mostrato nell'ultimo periodo una netta ripresa per quanto riguarda i problemi urbani. Vorrei una sua opinione su due questioni fondamentali 1) il ridisegno degli spazi pubblici in centro storico; 2) le varianti per le zone occidentali e orientali dismesse ed in via di dismissione.
Premetto: approvo, sostengo, affianco l'opera del Comune di Napoli. La ripresa di questa città è forse il fatto più positivo dell'urbanistica italiana. Vorrei che almeno Roma sapesse imitarla. Spazi pubblici del centro storico e varianti per la zona occidentale ed orientale? Non entro nei particolari. Inneggio allo spirito di iniziativa e alla tensione creativa  l'accompagna.

Abbiamo assodato che Lei è contrario all'impostazione attuale dell'università di architettura per i motivi già spiegati. Ma cosa ne pensa se si potesse introdurre, con il nuovo ordinamento, nell'ultimo anno una giornata alla settimana dedicata interamente ad un cantiere? Vero e proprio "maestro" dell'architetto?
Una giornata alla settimana? La solita pecetta. Io credo in una scuola interamente svolta in cantiere.

Vorrei che mi spiegasse qual è secondo Lei il rapporto Disegno-Architetto.
Meno un architetto sa disegnare tanto meglio è. L'abilità nella rappresentazione dell'architettura è dannosa. L'architettura va sperimentata, posseduta, amata alla follia, non rappresentata.

Lei dice "Meno un architetto sa disegnare tanto meglio è" d'accordo. Allora le bellissime prospettive di Wright? Forse non erano frutto delle sue mani?
Bellissimi anche i disegni architettonici di Michelangelo, Borromini, Piranesi e via dicendo. Tanto meno belli quando servono per la progettazione. Stupendi anche i disegni di Le Corbusier, Mendelsohn, Scharoun. Ma per quale motivo? Perché si distaccano dal disegno accademico per conquistare una fisionomia originale ed irripetibile. Tanto è vero che, per gli accademici, né Francesco di Giorgio, Mies van der Rohe sanno disegnare. Ribadisco: chi ha facilità per il disegno non dovrebbe fare l'architetto.

"Composizione-progettazione-costruzione". I tre passi dell'architetto?
Invertiamo i termini. Primo: costruzione, fare anche senza progetto; nel corso della costruzione emerge il progetto (cfr. Frank O Gehry). Quanto alla composizione gettiamola nell'immondizia; è fatta di principi, dogmi, idolatrie, tautologie, buon senso, equilibrio ed altre cose puteolente.

Lei è per molti un maestro. Cosa vuol dire essere un maestro? Una figura cui si fa riferimento, avere delle responsabilità. Che immagine pensa di dare ai giovani?
Giovanni Michelucci pubblicò un aureo libretto intitolato Non sono un maestro. Lo stesso potrei fare io, dimostrando che ogni mia idea o principio o invariante ha un riferimento storico preciso: William Morris, Loos, Olbrich, Bauhaus, Le Corbusier, Wright ecc. Io non ho prodotto questi valori, li ho solo gestiti. Non è poco e ne sono assai lieto. Penso di dare ai giovani la coscienza dell'eresia di fronte a tutti i vitelli d'oro del classicismo e dell'accademia, il metodo per azzerare e ricominciare sempre daccapo.

Secondo Lei su quale progetto crede che sia meglio esemplificato il discorso del rapporto tra tipo edilizio- morfologia urbana-monumento?
Su nessun progetto dato che detesto la tipologia edilizia, la morfologia urbana e tanto più la monumentalità. Robaccia che purtroppo alcuni ancora rigurgitano.

Lei ha conosciuto nell'arco della sua carriera professionale ben tre generazioni di architetti. Ha riscontrato un'evoluzione o un regresso?
Un regresso. La prima generazione è quella dei pionieri, degli eroi, dei temerari. La seconda è quella della razionalità, dal Bauhaus a Le Corbusier (con l'eccezione degli espressionisti). La terza è quella dello sbandamento, dello sconfinamento, al limite del Beat dell'architettura.

In questi ultimi anni si è più scritto che realizzato in architettura. Vale anche per essa il proverbio: tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare?
Non vale perché la maggior parte di quanto si è scritto è vuoto, idiota, tautologico, acqua sporca che serve solo a fare carriera universitaria.

I materiali: prima pochi con i più semplici colori ma ben composti tra loro, oggi un'infinità con altrettanti colori che proprio si ha difficoltà a comporli tra loro. Secondo Lei è stato più facile fare l'architetto in passato oppure oggi?
É più facile farlo oggi. Nessuno oggi soffre quanto Arnolfo di Cambio, Borromini, Loos, Wright, Le Corbusier, Terragni. I risultati denunciano questa mancanza di sofferenza.

L'opera architettonica uno dei grandi beni da salvare? Quale ruolo deve assumere la cultura storica in questo processo?
Il ruolo di attualizzarla, di farla vivere, di riconoscerne la modernità. Salvarla? No, si salva da sé, se la critica la rende parlante.

Cos'è che Lei crede che superfluo in architettura?
L'ornamento è delitto [cit. Adolf Loos]

In quale nazione del mondo, Lei crede che il dibattito architettonico sia più avanzato?
In Gran Bretagna, per merito del Royal Institute of  British Architects.

Lei crede nell'opinione abbastanza diffusa nell'ambito della filosofia e anche dell'architettura che non sia più possibile avere un'utopia?
No, non credo a nessuna opinione abbastanza diffusa. E credo nella funzione e nell'attualità del progetto, quindi nell'utopia.

Nella sua multiforme immagine di storico,  politico, storico, insegnante, architetto, direttore di rivista, non ha talvolta nostalgia di una sola vocazione? Quale di queste attività considera primaria?
No, soffro di tutto meno che di nostalgia. La mia vocazione prevalente e primaria è quella del critico pregno di storia.

Crede che nel comportamento e nei rapporti umani vi siano costanti che possono servire oggi da punto di riferimento per la soluzione dei problemi posti dall'architettura?
Altro che punto di riferimento! L'architettura è progettazione di comportamenti è rapporti umani.

[tratto da Saper credere in architettura - CLEAN edizioni]